L’espansione
della propria attività d’impresa all’estero è una strategia
comune a molte piccole e medie imprese italiane che intendano
promuovere il proprio business in altri Paesi, spingendosi alla
ricerca di nuovi mercati con l’obiettivo di incrementare il proprio
fatturato, valorizzare
il brand, etc.
Tra
le più comuni modalità di internazionalizzazione vi
sono ad esempio l’apertura di branch o
filiali all’estero, con la funzione di mero ufficio di
rappresentanza o di marketing, la
stipula di alleanze strategiche con partner locali (ad es., joint
venture), la costituzione
di subsidiaries interamente
controllate dalla Casa Madre.
A
riguardo, risulta innanzitutto fondamentale predisporre un business
plan che
delinei quanto segue:
- segmentazione del mercato / clientela target
- pricing per tipologia di prodotto / servizio
- strategie commerciali
- stima dei costi fissi e variabili
- analisi del break-even point (punto di pareggio)
- stima dell’utile netto a uno, tre, cinque anni, etc.
Ciò
premesso, la strategia di
ingresso nei mercati esteri implica necessariamente la gestione di
una serie di adempimenti societari, fiscali e previdenziali sia per
ciò che riguarda il Paese di origine (c.d. home country)
sia per ciò che concerne il Paese di destinazione (c.d. host
country).
Ad
esempio, l’esistenza di un rapporto di controllo tra la Casa Madre
italiana e la società estera implica di per sé un obbligo di
reporting della partecipazione della subsidiary estera
all’interno del bilancio civilistico della
Casa Madre italiana, la
redazione e la sottoscrizione di specifici inter-company
agreements ed il rispetto della
normativa internazionale dei prezzi di trasferimento (c.d. transfer
pricing).
In
riferimento a quest’ultima, le
aziende che hanno aperto una
propria sede all’estero, operando durante l’anno diverse
transazioni infra-gruppo (ad es., fatturazione da parte della
controllata estera di attività di ricerca e sviluppo svolte a
beneficio della Casa Madre) hanno
l’obbligo di predisporre ed implementare
una transfer pricing
policy che consenta di
dimostrare alle autorità fiscali italiane ed estere la congruità (a
valore normale) dei prezzi
applicati alle singole transazioni, mitigando
il rischio di contestazioni
ed accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Un
altro esempio molto comune è l’apertura di società controllate in
Paesi considerati a fiscalità privilegiata (ad esempio negli Emirati
Arabi Uniti), fattispecie che comporta
il rischio di ricadere nella
normativa delle c.d. Controlled Foreign Companies,
pur con la possibilità di richiederne la disapplicazione mediante
interpello preventivo all’Agenzia delle Entrate.
Un
altro tema molto delicato è sicuramente quello del distacco
internazionale del personale dipendente e di tutte le procedure
connesse alla gestione delle
risorse umane, come ad
esempio la gestione della
busta paga, della residenza fiscale del dipendente, delle politiche
di neutralità fiscale, etc. e alla fiscalità d’impresa (redazione
di inter-company agreements
che prevedano il riaddebito del costo del personale alla società
distaccataria e che regolino anche gli aspetti di fiscalità
indiretta).
In
conclusione, l’apertura di una subsidiary
al di fuori del territorio nazionale è
una decisione che deve essere presa necessariamente con il supporto
di un network di
professionisti specializzati, presenti sia
in Italia sia
nel Paese estero, che
possano offrire un’assistenza a 360 gradi sui diversi aspetti di
fiscalità personale e societaria, italiana ed internazionale e che
supportino i referenti nelle scelte più idonee alle proprie
esigenze, massimizzando l’utilità e minimizzando i rischi di
missed compliance.
Per qualsiasi ulteriore chiarimento o approfondimento contattateci.